martedì 4 aprile 2017

Giacca, cravatta e ferri da calza

In Cile un collettivo di soli uomini combatte gli stereotipi di genere e la visione patriarcale della società armato di ferri, lana e aghi. In pubblico coltivano fieri la propria passione difendendo il diritto di ognuno di esprimersi secondo le proprie inclinazioni



Stare a casa a fare la calza non è più un’offesa, per lo meno in Cile. E non solo in casa, anzi: per strada, nei parchi pubblici e anche nei musei sotto forma di performance artistica. Stiamo parlando del rivoluzionario progetto di un collettivo di uomini cileni, gli Hombres Tejedores (letteralmente gli uomini tessitori), che ha deciso di combattere gli stereotipi di genere a colpi di ferri, uncinetti, lana e aghi.

Nella patria di scrittrici come Marcela Serrano, di poetesse come Gabriela Mistral (Premio Nobel per la Letteratura nel 1945), di artiste come Lotty Rosenfeld e Cecilia Vicuña, di registe come Marilú Mallet e Valeria Sarmiento e di attiviste come Francisca Linconao, in un paese guidato da una donna, Michelle Bachelet, in carica dall'11 marzo 2006 all'11 marzo 2010, e nuovamente dall'11 marzo 2014 ad oggi (già Ministra della Sanità e della Difesa nazionale), l’uguaglianza tra donne e uomini è ancora lontana. Le sue battaglie per le quote rosa in politica, la pillola anticoncezionale, legalizzazione dell’aborto nono sono state ancora vinte, nonostante qualche passo avanti. 

In questo scenario di maschilismo e in una società fortemente patriarcale s’inserisce perfettamente l’azione semplice, ma nel contempo disturbante e rivoluzionaria, degli Hombres Tejedores. Stretti intorno allo slogan “Rompere con gli stereotipi ci trasforma in una società più inclusiva e tollerante” dodici uomini tra i venti e i quarant’anni, di estrazione sociale e culturale differente, si sono messi a cucire e lavorare a maglia. 

Tutto è iniziato come un hobby: un gruppo di maschi animati dalla stessa “inconfessabile” passione e un ragazzo Claudio Castillio, artista cileno, disposto a fare loro da professore. Come sottolinea uno dei membri più attivi del collettivo, il trentaseienne Richardo Higuera, “Siamo cresciuti in una società patriarcale, che ci dà un ruolo ben preciso: un uomo non deve essere sensibile, non può piangere, deve essere forte”. Così, per ribellarsi a questo modo scellerato d’inscatolare gli esseri umani in compartimenti stagni, hanno fatto diventare “maschile” un’attività culturalmente e socialmente (in maniera indistinta in tutto il mondo) di esclusiva competenza “femminile”. E “femminile” quasi ovunque, purtroppo, è sinonimo di “inutile, di poco conto”, come se esistesse una sorta di gerarchia a stabilire quali siano gli hobby con un senso e in base a quale sesso possano essere praticati. 

Hanno così iniziato a radunarsi periodicamente in luoghi pubblici armati di coraggio e dei ferri del mestiere, insegnando gratuitamente a nuovi disobbedienti sociali i trucchi dell’uncinetto. La loro attività non è passata inosservata e la pagina Facebook ha cominciato a ricevere valanghe di like. Fino all’impennata di qualche mese fa. 

Il 26 novembre 2016 infatti, in occasione della Giornata Internazionale contro la Violenza di Genere, gli Hombres Tejedores hanno dato vita a una performance artistica presso il Museo Nacional de Bellas Artes di Santiago del Cile. Seduti gli accanto agli altri nella sala principale del Museo, una decina di ragazzi del collettivo ha lavorato ai ferri in mezzo a statue e dipinti per diverse ore. Nessuna interazione con i visitatori, solo un pannello a spiegare la funzione del loro operato. La loro visibilità è cresciuta esponenzialmente permettendo loro, attraverso una campagna di raccolta fondi attraverso la piattaforma fondeadora.cl, di raccogliere la cifra di cui avevano bisogno per diffondere capillarmente il progetto.


Anche gli uomini italiani, dal canto loro, pare stiano impazzendo per ferri e fili di lana. Il gruppo aperto di Facebook dall’esemplificativo titolo Magliuomini, raccoglie al suo interno quanti sono animati da questa dilagante passione. “In questo gruppo – recita il regolamento interno - non ci sono pregiudizi sulle scelte, attitudini, orientamenti, origini, di tipo religioso, sessuale, etico, politico e/o razziale di alcun genere. Lo stesso resta quindi aperto a tutti coloro che vivono nel rispetto della volontà altrui, delle altrui scelte e delle altrui opinioni e che non impongono agli altri la propria volontà”. 

Dal Cile all’Italia, il lavorare a maglia si trasforma in un messaggio di inclusione e di riscatto, di disobbedienza e di voglia di cambiare le cose: per ritessere i legami sociali spendendo del tempo insieme, per rammendare gli strappi di genere che non sono salutari per nessun tipo di società, per cucire relazioni stabili basate sull’unico requisito che conta, l’umanità.

[Articolo pubblicato nel numero #76 di marzo della rivista WU magazine]

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